Pubblicato il: 16-9-2025
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"Accounting carbon emissions from electricity generation: A review and comparison of emission factor-based methods"
Autori: Marina Bertolini, Pierdomenico Duttilo, Francesco Lisi, Dipartimento di Scienze Statistiche (Università degli Studi di Padova)
Nonostante l’ampia diffusione di questo approccio, mancava un confronto aggiornato e sistematico tra i metodi disponibili. A partire dalle linee guida dell’IPCC, abbiamo svolto una revisione approfondita della letteratura per comprenderne l’evoluzione e l’applicazione nel settore elettrico.
Successivamente, abbiamo confrontato i principali metodi su dati reali del mercato elettrico italiano, suddiviso per zone e con frequenza oraria (2016–2023), per misurare le differenze tra le stime. Lo studio fornisce inoltre un’analisi dell’andamento delle emissioni di CO₂ negli ultimi anni.
I risultati mostrano divergenze significative tra i metodi. Sebbene il Tier 3 sia teoricamente il più preciso, la sua applicazione è spesso limitata dalla disponibilità e dal costo dei dati necessari. La scelta del metodo deve quindi basarsi su criteri coerenti rispetto al contesto e ai dati disponibili.
Per stimare le emissioni da produzione elettrica, è necessario conoscere quanta energia viene prodotta o quanto combustibile viene consumato, e applicare un fattore di emissione che indica quanta CO₂ viene generata per ogni unità prodotta. Tali fattori dipendono dal tipo di combustibile, composizione, tecnologia impiegata ed efficienza dell’impianto.
Le linee guida IPCC propongono tre livelli (Tier) di precisione crescente:
Tier 1: usa valori medi internazionali
Tier 2: utilizza dati specifici per Paese
Tier 3: considera caratteristiche tecniche dettagliate degli impianti
Più alto è il Tier, maggiore è la precisione, ma cresce anche il fabbisogno informativo. La scelta dipende quindi dalla qualità e disponibilità dei dati.
Molti studi, ispirandosi alle linee guida IPCC, hanno cercato di affinare le stime delle emissioni elettriche usando approcci basati sui fattori di emissione. L’analisi di 22 articoli (2009–2021) conferma che il Tier 1 è il più diffuso per via della sua semplicità, nonostante la minore accuratezza. I metodi Tier 2 e 3 sono meno utilizzati a causa della loro complessità e della difficoltà nel reperire dati specifici.
Alcuni studi si sono concentrati sull’impatto delle fonti rinnovabili o sulla scomposizione delle fonti emissive. In Italia, esempi di applicazione del Tier 3 mostrano stime orarie su impianti singoli, ma richiedono un dettaglio informativo elevato. Il metodo Carbon Monitor rappresenta una via intermedia, adattando i fattori IPCC a dati nazionali, con risultati più affidabili.
Abbiamo confrontato sei metodi applicandoli allo stesso set di dati del mercato elettrico italiano (2016–2023), suddiviso in 7 zone e con frequenza oraria. Tutti i metodi si basano sull’approccio dei fattori di emissione e considerano unicamente la produzione interna.
I risultati mostrano che i metodi più semplici tendono a sottostimare le emissioni rispetto a quelli più dettagliati. Le differenze dipendono soprattutto dai parametri considerati: l’inclusione di fattori come il rapporto tra i pesi molecolari di CO₂ e carbonio può portare a stime molto più accurate.
Il confronto dimostra che la precisione non dipende solo dal livello teorico del Tier, ma anche dalla qualità delle informazioni utilizzate. È quindi essenziale scegliere il metodo più adatto al contesto e al tipo di dati disponibili.
Per molto tempo, le emissioni di carbonio sono state considerate solo effetti negativi sull’ambiente, senza alcun costo economico diretto. Tuttavia, con la crescente attenzione verso i cambiamenti climatici, le politiche ambientali si sono evolute, portando alla creazione di mercati delle emissioni: le emissioni sono diventate quindi un elemento che può influenzare i costi aziendali e la competitività.
Oggi, stimare correttamente le emissioni non è solo una questione tecnica, ma anche strategica. Le politiche nazionali e internazionali richiedono il calcolo delle emissioni legate a prodotti e processi, lungo tutto il loro ciclo di vita, e ciò vale per tutti i settori economici.
Un esempio concreto è il sistema europeo di scambio delle emissioni (EU ETS), nato nel 2005 per far pagare chi inquina. Oggi coinvolge settori come energia, industria, aviazione e, dal 2024, anche il trasporto marittimo. Le aziende devono monitorare e mantenere le proprie emissioni entro un tetto stabilito, potendo acquistare o vendere "permessi" di emissione. Questo sistema ha già mobilitato oltre 175 miliardi di euro per sostenere la transizione energetica, tramite fondi europei come l’Innovation Fund.
L’EU ETS ha anche effetti sulle decisioni aziendali, spingendo le imprese a migliorare le proprie performance ambientali, anche in ottica ESG (ambientale, sociale e di governance). Dove non è possibile ridurre le emissioni, sono previsti strumenti di compensazione (carbon offset), ma è importante utilizzare metodi di calcolo affidabili per evitare pratiche scorrette come il greenwashing.
Lo studio sottolinea che l’uso di metodi diversi può portare a risultati molto differenti. Non sempre i metodi più sofisticati (Tier alti) sono i più adatti: in alcuni contesti, come in presenza di pochi dati, possono essere meno efficaci rispetto a metodi più semplici ma ben contestualizzati. In mercati regolati come l’ETS – o in quelli futuri che integreranno criteri ambientali nel calcolo economico – scegliere il metodo giusto è cruciale per evitare distorsioni della concorrenza. Per questo, è importante definire chiaramente, settore per settore, quando e come usare ciascun metodo.
In questo studio sono stati analizzati diversi metodi per calcolare le emissioni di CO₂ derivanti dalla produzione di energia elettrica. I risultati mostrano che i metodi più avanzati, che utilizzano dati specifici per paese e tecnologia (metodi di livello superiore, o Tier, 2 e 3), forniscono stime più accurate rispetto ai metodi base (Tier 1), che si basano su fattori di emissione standard. Tuttavia, se applicati correttamente nel contesto giusto, anche i metodi più semplici possono dare risultati validi.
La scelta del metodo più adatto dipende dalla disponibilità dei dati: si parte dai metodi base e, se disponibili, si usano dati più specifici per aumentare la precisione
L’analisi delle emissioni zonali italiane evidenzia l’importanza di usare fattori di emissione specifici per ciascuna zona, soprattutto in regioni come la Sicilia e la Sardegna, dove l’uso di combustibili fossili è maggiore. In questi casi, le differenze tra i metodi sono significative, dimostrando che la scelta del giusto fattore di emissione è fondamentale per ottenere stime realistiche.
Questo approccio è già adottato da molti paesi europei per migliorare la qualità dei propri inventari di gas serra, in linea con le raccomandazioni ONU. È bene inoltre sottolineare che le tecnologie di depurazione utilizzate negli impianti e l’uso di fonti rinnovabili hanno un grande impatto sulle emissioni complessive: impianti più moderni, infatti, inquinano meno grazie a sistemi di produzione più efficienti.
Infine, poiché il calcolo delle emissioni ha un impatto anche economico e normativo, è importante continuare a migliorare questi metodi ed estenderli ad altri settori e mercati internazionali. L’adozione di approcci dettagliati permette una gestione più consapevole delle emissioni nel contesto energetico globale in continua evoluzione.
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